Se siete alla ricerca di un vino rosso eccellente il Canonau Minneddu di Mamoiada della cantina Paddeu è quello che fa per voi. Si presta ad accompagnare primi a base di pesce, pietanze con sughi di carne, arrosti e formaggi di media e lunga stagionatura. Un vino speciale senza l’aggiunta di solfiti: sic et simpliciter, così e semplicemente. Uno dei migliori vini italiani che non deve mancare nella vostra cantina. Il nome Minneddu è il diminutivo di Giuanneddu, nonno di Giampaolo Paddeu.
Il Canonau Minneddu è un vino sardo al cento per cento, dal vitigno autoctono, il piede franco, le cui talee sono nate e cresciute in terra sarda. Oltre a essere genuino mantiene inalterate le sue proprietà organolettiche pur non avendo solfiti aggiunti. Tempo fa me ne hanno regalato una bottiglia e da allora ne tengo sempre qualcuna di scorta. A raccontarcelo è proprio il suo produttore, che ho intervistato di recente.
Giampaolo Paddeu, classe 1973, abita a Mamoiada dove si trova la sua cantina. Sposato, padre di quattro figli, è un imprenditore sincero e geniale. Il suo staff è composto dalla sua famiglia. Di lui mi hanno colpito la gentilezza e la cordialità che mi ha riservato. Una persona autentica proprio come il suo vino tipico di Mamoiada: il Canonau Minneddu.
Giampaolo ci parli del Canonau Minneddu?
«Il vino Minneddu è prodotto da uve fresche di Canonau coltivato su piede franco a 700 metri sul livello del mare. Il processo di ottenimento è artigianale e tradizionale. Non uso fermenti di allevamento, chiarificanti, stabilizzanti, inoltre non effettuo nessuna filtrazione e non aggiungo anidride solforosa. L’unicità del territorio e la tradizione vitivinicola centenaria della mia famiglia sono un ottimo connubio».
Come si chiama il vitigno?
«Si chiama canonau (o cannonau) ed è il vitigno più diffuso e tipico delle nostre parti. Una coltura antichissima. Nel mio caso faccio del mio meglio per tenere l’autoctono, vale a dire che prendo le marze dai vigneti antichi e le impianto direttamente sul posto senza il superfluo piede americano».
Il piede franco si trova anche in altre parti del mondo?
«Nel mondo il vitigno a piede franco è una rarità. Si trova solo in alcune parti: Cile, Canarie e Italia. Si adatta abbastanza bene in tutti i tipi di terreno anche in Sardegna».
Come viene fatta la raccolta dell’uva?
«La raccolta di grappoli di uva la facciamo a mano, senza l’uso di macchine, tra settembre e ottobre. Si chiama vendemmia ad acino integro: l’uva appena tagliata arriva in cantina in perfetto stato, viene pigiata e passa alcuni giorni in fermentazione nei tini tronco conici in legno di castagno. Il passaggio successivo è quello della torchiatura manuale e della stagionatura nelle botti, per circa nove mesi di tempo, dove continua la fermentazione e durante la quale non vengono aggiunti né lieviti, né conservanti. È lo stesso procedimento di cento anni fa utilizzato da nonno, da babbo e da me. Il vino che facevamo per casa io l’ho proposto al mercato internazionale».
Il Canonau Mineddu in quale periodo dell’anno viene imbottigliato?
«Si procede con l’imbottigliamento, verso la fine di luglio. La luna deve essere calante e la giornata limpida, senza vento, in sostanza ci deve essere alta pressione. Il rispetto della natura e delle sue fasi è determinate per la resa di un prodotto di qualità. Questo è il periodo del primo imbottigliamento, cioè del vino d’annata che produciamo. Dietro una bottiglia di Canonau Minneddu ci sono vari passaggi».
Da chi è composta la tua azienda agricola?
«La mia azienda è a conduzione familiare. I dipendenti siamo noi stessi: mia moglie, i miei figli e io. Facciamo tutto da soli, dal processo produttivo alla vendita».
Fai anche la riserva?
«All’inizio ero restio a fare la riserva perché non ero sicuro che questo tipo di vino potesse durare senza l’aggiunta di conservanti. Inoltre, qui dalle mie parti non c’era nessuno che facesse questo esperimento in bottiglia. Chi ci ha provato l’ha fatto per consumo personale e veloce. Nell’arco di dodici anni mi sono fatto anche questo tipo di esperienza e ho riscontrato che i vini oltre a essere buoni per i primi due anni durano anche di più. Perciò, da quest’anno ho deciso di fare anche qualche botte di riserva, lasciarlo un altro anno per poi imbottigliarlo. Sono esperimenti che stiamo facendo noi, frutto della passione enologica».
La fregula sarda: una pietanza che profuma di buono
Per produrre il Canonau Minneddu ti avvali di un enologo?
«No, finora non ne ho avuto la necessità. Ho tanti amici con cui mi confronto, che sono esperti del settore e, ho imparato con il sistema antico che facevamo con nonno e con babbo curando ancor di più alcuni aspetti come per esempio l’igiene nei recipienti e nella vinificazione per evitare certi rischi. Cerco di lavorare nella maniera migliore per ottenere ottimi risultati. Prima di imbottigliare il vino faccio tutti i controlli necessari. Il vino è come il sangue umano, arriva il momento di accertare che sia tutto in ordine. Mettere in circolo una bottiglia è una responsabilità enorme».
Il vino artigianale è difficile da realizzare?
«Io insisto su questo tipo di vino artigianale proprio perché è il più difficile da realizzare, ma al tempo stesso è il più affascinante. Fare il Canonau Minneddu è come portare un leone vivo dalla savana alla città. Chiunque sarebbe capace di fargli un’iniezione per stordirlo e caricarlo in macchina, ma in questo modo porti in giro un tappeto. Io ambisco a portare in città il leone vivo, dopo avergli insegnato a comportarsi a modo. Se hai lavorato bene i lieviti prendono la strada buona. Addormentarli con i solfiti o con la pastorizzazione è una cosa che sanno fare tutti, alla fine però hai un vino morto. Con questo non voglio demonizzare l’uso dei solfiti. Il mio modus operandi è alternativo».
Qual è la tua sfida?
«La mia sfida è quella di portare il vino tipico di Mamoiada nelle tavole del mondo».
Il Canonau Minneddu dove possiamo trovarlo?
«Nei locali, nelle enoteche, nei punti vendita e nei ristoranti della Sardegna e anche oltremare. Abbiamo clienti in Svizzera, Olanda e Belgio».
Hai pensato di portare il leone fuori dall’Europa?
«Sì, ci stiamo muovendo anche in quella direzione. Qui, in Sardegna il mercato ce l’abbiamo. Se qualche bottiglia va fuori non è male. Il Giappone, per esempio, dove si investe parecchio sui prodotti naturali, potrebbe essere una bella fetta di mercato da conquistare».
Quante bottiglie di Canonau Minneddu producete?
«In genere sotto le cinquemila bottiglie di media. Poi, dipende anche dalle annate e dalla produzione che abbiamo».
Com’è andata la vendemmia quest’anno?
«Una bellissima annata, nonostante la siccità prolungata abbiamo avuto avuto delle uve splendide. La vendemmia di quest’anno somiglia a quella del 2017. Bisogna dire che la resa delle vigne dipende anche dalla zona. I miei vigneti sono sani e localizzati in tre zone diverse del territorio di Mamoiada: il versante di Orgosolo, quello di Fonni e di Loreto Attesu. Il fatto che le vigne siano dislocate in diverse zone è di fondamentale importanza perché in caso di malattie una ricompensa l’altra».
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Le vinacce di Canonau Minneddu si prestano a diventare grappa?
«Caspita! La materia prima è eccezionale, di conseguenza il risultato è ottimo. Produco una piccola quantità di grappa per consumo familiare e nel caso in cui debba fare qualche regalo. Avviarne la produzione comporterebbe mettere su un ambiente a parte».
Giampaolo è competente e preparato. Racconta la sua passione con cura e precisione. Ascoltarlo è un piacere, lo stesso piacere che si prova degustando il suo vino. Alla fine di questa bellissima chiacchierata ci promettiamo di aprire un bottiglia della stessa annata, magari in differita, oppure in cantina, per appurarne lo stato di conservazione. Perché come dice Giampaolo: “Bisogna fare quello che dici e, dire quello che fai.”
Mamoiada, nota per il Museo delle maschere Mediterranee, i Mamuthones e gli Issohadores, è una località della Sardegna accogliente. Imperdibile la visita nella cantina di Giampaolo Paddeu per degustare il Canonau Minneddu accompagnato da un pezzo di pane carasau e per respirare l’odore di mosto che sa di tradizione, di passione e di vita.
Grande è la fortuna di colui che possiede una buona bottiglia, un buon libro, un buon amico. Molière