
Fino a qualche anno fa chi dichiarava apertamente di seguire uno stile di vita vegano veniva democraticamente etichettato come un “nazista”. Per fortuna nel 2024 non è più così. Sempre più persone scelgono di adottare uno stile di vita che non prevede uso e consumo di prodotti di origine animale, in nome dell’etica e del rispetto dell’ambiente.
Una scelta senz’altro lodevole, e anche se chi vi scrive non si può definire “vegana”, da quattro anni non consuma carne e ha ridotto considerevolmente il consumo di prodotti derivati dagli animali. Adottare uno stile di vita vegano è senza dubbio una scelta positiva per il nostro pianeta e che, fino a ora, pare essere anche l’unico che possediamo. Tuttavia, “vegano” non rima con “sostenibilità”, sia di fatto che concettualmente. E oggi vedremo perché “vegano” non vuol dire “sostenibile”, a discapito di quanto si pensa.

Non è tutto green tutto ciò che è vegano
Siccome quando si parla di alimentazione vegana si pensa alle verdure, cominciamo parlando della Nutella. Eh già perché un altro mito da sfatare è che essere vegani voglia dire mangiare solo verdure, ma non è questo il focus dell’articolo. Dicevamo: la Nutella. Per festeggiare i 60 anni della crema di nocciole più famosa del mondo, Ferrero ha pensato di lanciare la prima Nutella plant-based, ovvero creata unicamente con ingredienti di origine vegetale.

Con tanto di tappino di colore verde a indicare quanto sia plant-based, quindi vegana e quindi super sostenibile, la nuova versione della Nutella di Ferrero presenta al suo interno i seguenti ingredienti, tra gli altri: zucchero, olio di palma, nocciole, ceci, cacao magro, sciroppo di riso in polvere, in quest’ordine. La novità è che i ceci e lo sciroppo di riso in polvere andrebbero in sostituzione del latte, che ha un’impronta di carbonio elevata.
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Tutto vero, peccato che la Nutella tradizionale contenga appena l’8.7% di latte, a discapito dell’olio di palma, presente in quantità ben maggiori (si dice fino a un 20%). A questo punto, già dovreste esservi fatti un’idea del perché “vegano” non vuol dire “sostenibile”.
Perché la Nutella vegana non vuol dire “sostenibile” anche se è plant-based
Sull’olio di palma si è detto di tutto, ma la sola cosa che è innegabile è che nessun prodotto che ne contiene può dirsi davvero “sostenibile”. A dire il vero, la colpa non è neanche solo dell’olio di palma. Infatti, per poter affermare che la Nutella è davvero sostenibile, dovremmo avere la certezza, per esempio, che le nocciole di cui è fatta arrivano da coltivazioni biologiche e che chi se ne cura riceve una paga adeguata. Stessa cosa per tutti gli altri ingredienti che la compongono, a partire dallo zucchero. Insomma, il tema è molto complesso e non si può ridurre semplicemente al colore di un tappo, per quanto sarebbe bello che fosse così.
Perché “vegano” non vuol dire “sostenibile”: 3 casi
Da questo si evince che adottare una dieta vegana non vuol dire necessariamente che stiamo facendo del bene all’ambiente né vuol dire che le risorse del pianeta non stanno subendo sfruttamento, per non parlare della condizione in cui versano i lavoratori.
Per darvi un’idea di ciò che voglio dire, vi propongo altri tre casi di coltivazioni che possono portarci a riflettere.
1. The dark side of the avocado: perché l’avocado non è sostenibile
Cominciamo da lui, il re di tutti i toast che si rispettano: l‘avocado. E lo ammetto: da quando l’ho scoperto, ne vado davvero matta. L’avocado sa dare gusto a tantissimi piatti, a tutte le ore del giorno: dalle strisce sul toast per colazione, oppure in mousse o a pezzetti nell’insalata a pranzo e a cena, per merenda o come salsa guacamole per l’aperitivo. Senza contare che ha una forma così simpatica che mette allegria solo a guardarlo. Spopolano, infatti, gadget e accessori (magari in plastica, perché no…) che lo ritraggono in forma un po’ umanizzata. Insomma, l’avocado è gustoso, nutriente, super verde e ovviamente plant-based e… non è sostenibile.

Conosciuto in special modo in Messico come “oro verde“, il simpatico avocado che ci rallegra le giornate è in realtà un distruttore di ecosistemi. Come riporta il magazine LifeGate, le coltivazioni di avocado contribuiscono alla deforestazione, allo sfruttamento di risorse idriche (portando talvolta la popolazione locale a soffrire la sete) e all’uso incontrastato di pesticidi. In alcune parti del mondo, come per l’appunto in Messico, contribuisce persino a far prosperare la criminalità organizzata, esacerbando la violenza nei confronti dei produttori locali. Senza contare l’impatto enorme che ha il trasporto di avocado in termini di impronta di C02. Per portare qualche numero, sempre secondo LifeGate, portare in aereo un chilo di avocado dal Sud America alla Svizzera costerebbe circa 13 chili di CO2.
Insomma, viene da pensare che forse non è poi così simpatico, questo avocado…
2. Quinoa, il super food che però non salverà il mondo
Un altro esempio è quello della quinoa, un cereale super alla moda e presente oramai ovunque, dalle celeberrime poké bowl, al piatto della domenica cucinato dalla nonna (ecco, magari questo non ancora…). La quinoa è considerato un super food per le sue proprietà nutrizionali ed è originario delle Ande. Il problema di fondo è che l’alta domanda generatasi ha fatto in modo che da coltura locale si è passati a una monocoltura, con tutte le conseguenze del caso.
In particolare, l’utilizzo massiccio di pesticidi, la riduzione delle porzioni di terreno destinate ad altri tipi di colture, così come la riduzione dei territori adibiti all’allevamento di alpaca, naturali fornitori di concime per la quinoa, sono tra le cause di pesanti ripercussioni sull’ambiente.

3. Era soia per litigare: l’impatto della soia sulla deforestazione
Non è certo l’ultimo esempio che si potrebbe portare, ma sicuramente uno dei più emblematici. Anche la soia, infatti, sostituto per eccellenza della carne (le cotolette di soia si sprecano, ma la si può trovare anche nel tofu e nel tempeh), non è affatto così eco-friendly come si crede. Secondo il Wwf, la coltivazione di soia è la seconda causa di deforestazione a livello mondiale dopo l’allevamento di bovini. Ed essendo il Brasile il primo produttore di soia al mondo, troviamo le coltivazioni di soia anche come una delle prime cause di deforestazione in Amazzonia.

Allora come si fa a essere “sostenibili”?
A questo punto dell’articolo avrete capito perché “vegano” non vuol dire “sostenibile” e magari vi sarete anche fatti prendere dallo sconforto. Ci sta, è successo anche a me. La buona notizia che vi do, però, è che adottare uno stile di vita vegano è comunque la scelta più sostenibile che possiate fare.
Tuttavia, come ogni tema non è mai tutto così semplice come si vorrebbe e quindi comprare solo prodotti col “tappo verde” non vi renderà automaticamente amici del pianeta. Ma allora come si può fare per essere “sostenibili”? L’avocado toast me lo posso mangiare o devo scordarmelo per sempre? La risposta è sempre la stessa, a tratti noiosa perché poco sexy: informarsi e prendere decisioni informate.
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Adottare uno stile di vita sostenibile vuol dire anche informarsi per quanto possibile e cercare di scegliere le opzioni migliori per l’ambiente, che non saranno mai a “impatto zero”, semmai a un impatto più ridotto. Non me ne vogliano i miei amici vegani, ma a volte potrebbe essere più sostenibile mangiare un uovo di una gallina allevata nel cortile di casa, di cui si conosce il tipo di alimentazione e che è libera di scorrazzare felice per il pollaio, che una cotoletta di soia.
“Essere sostenibili” richiede uno sforzo ben più grande di acquistare prodotti vegani, ma vi assicuro che ne vale la pena per voi e per amore dell’unico pianeta che finora abbiamo.