Tenere vivo il ricordo e trasmettere ciò che è stato alle generazioni future è compito di ognuno di noi. In questo articolo riporto quattro poesie sulla Shoah per non dimenticarne l’orrore.
Che cosa rimane dopo Auschwitz?
Nel 1949 Adorno dichiarava che scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie. Con questo aforisma, il più delle volte mal interpretato, il filosofo non voleva certo esprimere un giudizio sul futuro della poesia come genere letterario, ma esprimeva un dubbio rispetto alla capacità del pensiero critico di misurarsi con lo sterminio e raccontarlo.
In effetti, quale parola può rendere giustizia a tanto orrore? Quale arte può essere possibile dopo Auschwitz? Eppure, per fortuna, tanto si è scritto e molto si è rappresentato cinematograficamente e artisticamente.
Ho scelto quattro delle moltissime poesie dedicate alla Shoah che, secondo me, riescono a trasmettere, in parte, l’orrore di ciò che è stato.
Shoah: quattro poesie per non dimenticarne l’orrore
Il dramma dell’Olocausto, in questa poesia del 1944, viene fuori, bruciante, attraverso tre frasi: gli occhi bruciati nei forni, i piedini dei bambini morti non crescono e i piedini dei bambini morti non consumano le suole.
Le scarpette rosse diventano il mezzo attraverso cui raccontare la sorte di circa un milione e mezzo di bambini: eternamente piccoli, eternamente spezzati.
Joyce Lussu, Un paio di scarpette rosse
C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
“Schulze Monaco”.
C’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buckenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’ eternità
perché i piedini dei bambini morti non crescono.
C’è un paio di scarpette rosse
a Buckenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.
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In questi pochi versi Izet Sarajlic racconta la Shoah quasi con leggerezza. E con leggerezza introduce il senso di colpa che un qualunque uomo, trovandosi nel museo di Auschwitz, prova guardando un paio di scarpette da bambino. Perché? Perché è vivo.
Izet Sarajlić, Il proprietario delle scarpe n. 43
Quanto amore
un calzolaio d’anteguerra
alla periferia di Leopoli
ha impiegato lavorando questi sandali
perché calzandoli
un bambino
corresse nel suo maggio.
Ed ecco,
adesso questi sandali
sono esposti nel museo di Auschwitz.
Uno potrebbe quasi
sentirsi colpevole.
Un uomo
arrivato alle scarpe numero 43.
E il quale,
nel 1941
anche lui
correva in identici sandali da bimbo.
Poesie sulla Shoah che ci aiutano a non dimenticare
Auschwitz, di Francesco Guccini, è una canzone e una straziante poesia. Il protagonista e narratore è un bambino che, morto insieme ad altri cento – passato per il camino – adesso racconta la sua esperienza mentre fluttua nel vento.
Francesco Guccini, Auschwitz
Son morto ch’ero bambino
son morto con altri cento
passato per il camino
e adesso sono nel vento.
Ad Auschwitz c’era la neve
il fumo saliva lento
nel freddo giorno d’inverno
e adesso sono nel vento.
Ad Auschwitz tante persone
ma un solo grande silenzio
che strano non ho imparato
a sorridere qui nel vento.
Io chiedo come può l’uomo
uccidere un suo fratello
eppure siamo a milioni
in polvere qui nel vento.
Ancora tuona il cannone
ancora non è contenta
di sangue la bestia umana
e ancora ci porta il vento.
Io chiedo quando sarà
che l’uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare
e il vento si poserà.
Pesantezza e leggerezza, inizio e fine. La pesantezza dell’essere stati strappati alla propria vita e la leggerezza della morte che, come fumo, esce dai camini.
Gina Tota, Per non dimenticare
Un giorno fummo presi
da uomini di ghiaccio
e portati lontani dal sole.
Non un frammento di luce,
lasciarono nei nostri cuori
in silenzio, camminavano
i nostri sogni e, fu così che,
diventammo dei numeri, delle ombre,
mucchi di tenebre.
Poi leggeri leggeri, uscimmo
da alti camini.
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Concludo citando una famosa frase di Primo Levi che insiste sull’importanza del ricordo, fondamentale oggi, 27 gennaio, e fondamentale ogni giorno per far in modo che nulla di tutto ciò che è stato si ripeta:
“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre.“