Caro diario, scoprire Tider a trent’anni è un trauma.
Domenica pomeriggio post lavoro: pigiama di pile, divano, coperta, Netflix e tea da gustare nella tazza preferita. Squilla il telefono; per coronare una fanstastica domenica da quasi trentenne pantafolaia, una tua amica ti invita a mangiare sushi.
E cosa volere di più dalla vita, pensi?
Ovviamente la risposta è affermativa e ci si organizza. Cerchi la forza di alzarti dal tuo bozzolo di pile, di sfilarti le ciabatte improponibili ad unicorno che ami e ti dai una sistemata, passando da desperate housewife a “discreta manza di periferia”. Si perché nonostante i chili accumulati negli anni e i capelli bianchi che cerchi affanosamente di mascherare facendo degradè e colpi di sole, quei bastardi stanno sempre li a ricordarti che stai invecchiando. Ma tu non ti scoraggi, ti vesti, ti trucchi e se sei in vena, ti fai anche un selfie pre-uscita in cui ovviamente ti piallerai le occhiaie perenni con l’ausilio di qualche app, aggravate dalla sveglia alle sette causa apertura negozio. Ma questa è un’altra storia, magari approfondiremo l’argomento in un altro post…
Arriva il segnale, ci si infila il cappotto e via.
Contenta come una pasqua, ignara del trauma che avrei subito durante la serata, si decide dove andare a cena. Arrivate ci si siede, e si inizia la solita scena; ingozzamenti di sushi e lamentele su quanto si è piene e chiacchiere tra amiche.
Che poi alla soglia dei trent’anni di che vuoi parlare tu? Di detersivi per pulire il calcare dalla doccia e di quanto ti fanno incazzare i calzini a terra del tuo compagno nonostante tu lo abbia ripreso mille volte? Di quanto sia stato emozionante trovare in offerta il Dixan alla lavanda all’Esselunga che ti serviva?
Quindi si parte con la carrellata di lamentele. Si comincia da un blando “guarda, lo amo ma a volte lo ammazzerei”, passando per “qualche giorno lo rispedisco da sua madre”, concludendo con un sobrio “giuro che se non inizia ad ascoltarmi me ne torno da mia madre”. E poi conscia del fatto che stai monopolizzando la conversazione, esordisci con un ” vabbeh, dai ma tu? Che mi racconti?”
Ed è in quel preciso istante la tua amica, estraendo il telefono dalla borsa, ti fa scoprire un mondo nuovo. Tinder.
E lì subisci il trauma di Tinder a trent’anni.
La prima cosa che ti destabilizza è il funzionamento. Praticamente un supermercato. Tu si e ti metto aggiungo al carrello spostandoti a destra, tu no, e ti scaravento nello scarto a sinistra.
Che sarò anziana e vecchio stampo, ma questa cosa qui non mi scende, che povero de mamma, uno ci può pure rimanere male.
Seconda cosa che mi lascia perplessa: la geolocalizzazione. Praticamente come quando vedi i carciofi in offerta alla Crai e vai su Google a vedere il punto vendita più vicino a te. Solo che non devi andare a prendere i carciofi, al massimo “il carciofo”.
Ultimo e più importante trauma causato dalla scoperta dell’esistenza di Tinder a trent’anni è: l’APPROCCIO. Ora, qui gli old school mi seguiranno. Senza fare troppo i vecchi, chi non ha avuto un profilo Netlog di cui ora si vergogna come la peste nera? Ma si, non vi guardate intorno che lo sappiamo. Con quelle foto imbarazzanti da sedicenni con capelli inguardabili, gli occhiali da sole da 5 euro del mercato e la lingua di fuori, scattate rigorosamente nel cesso di casa con le mutande di vostra madre appese nel termosifone di dietro. Io la mia, non riesco a rimuoverla dalla mente.
Per quanto ora mi atteggi da snob, con cappotto lungo da principe di Galles e borsa di Elisabetta Franchi, l’immagine di me con il cerchietto rosa, abbinato alla maglietta della Bandog, la cintura delle PowerPuff (Superchicce per i non studiati) e la faccia marrone dalle lampade, non riuscirò mai a rimuoverla. Mi perseguita la notte.
Il trauma più grande di conoscere Tinder a trent’anni è il fatto che la conversazione non si avvia più con un old but gold “Ciauuuuu Bellixxima XD”. No amiche.
La conversazione su Tinder si apre con una foto che il gorillone di turno ti gira del suo membro. E’ in quell’esatto momento che ti trasformi in tua madre urlando in un ristorante gremito “Ma Ommiodddio ma siamo pazzi!”. Sputando il nigiri e sperando che non ti vada di traverso. Completamente schifata e sbalordita ti chiedi: come siamo arrivati a questo?
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E in quel momento, grazie a Tinder, tutto diventa chiaro
Per quanto ti faccia incazzare quella specie di orango che hai a casa, quello è il tuo orango. Quell’uomo che ti fa incazzare come una bestia perché lascia i calzini per terra e che quando viene lasciato da solo ti riduce la casa che manco una trincea nel quindici diciotto, te lo tieni stretto perché lo ami e perché è oggettivamente sano di mente rispetto a questi pazzi maniaci.
Donne alla soglia dei trenta, non incazziamoci, accettiamoli per quello che sono e facciamo vincere l’amore da principessa Disney in preda ad un attacco di nervi. E’ vero che i nostri principi si sono trasformati nel Mago Oronzo di Mai Dire Gol, ma mentre si aggiustano il pacco in tuta a casa, li guardiamo ancora come fosse il primo giorno.
E poi, sinceramente, voi siete pronte a scaricare Tinder a trent’anni?
Io no, continuerò a scaricare le app dei supermercati cercando le offerte migliori per il Dixan e cercando di non intossicarmi mischiando detersivi, mentre cerco di levare il calcare dal vetro della doccia.
Questo è il mio trauma, avrei voluto che qualcuno me lo evitasse mettendomi in guardia, proprio come oggi ho fatto io con voi.
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