Soffrire di un disturbo alimentare è un cancro che ti porti dentro. Un’ombra che insegue per tutta la vita. Oggi vorrei raccontarvi la storia di Elisa (nome di fantasia), giovane donna che sin dall’adolescenza lotta contro i problemi legati ai disturbi alimentari.
Cosa sono i disturbi alimentari?
I disturbi del comportamento alimentare, o DCA, sono delle vere e proprie patologie caratterizzate da una alterazione delle abitudini alimentari, di una eccessiva preoccupazione per il peso corporeo e l’aspetto del nostro corpo, che sfociano in diagnosi di anoressia nervosa , bulimia , disturbo da alimentazione incontrollata, in disturbi della nutrizione e sottosoglia, ossia disturbi alimentari clinicamente significativi, a che non soddisfano i criteri per una diagnosi piena.
Secondo le statistiche circa il 5% degli italiani e affetto da DCA, rappresentando così la seconda causa di morte in Italia dopo gli incidenti stradali.
Oggi parlare di anoressia e bulimia non è più un tabù. Generalmente se ne riconoscono i segnali, gli stimoli e le abitudini malante, ma purtroppo ancora oggi, sussiste una diffusa ignoranza su come aiutare le persone che sono vittime di questo male.
Vorrei farvi capire cosa prova una persona malata di bulimia, vorrei farvi capire che il problema non è solo il peso su una bilancia, o il vedersi grassi allo specchio. Ma è un male maggiore, che troppo spesso sfocia nel desiderio di morire. Per questo vi racconto la storia di Elisa.
Elisa – la storia di una fiera ex anoressica
È cominciato tutto quando ancora andava alle scuole medie. Una piccola donna che cominciava a sviluppare le sue forme. Un po’ in carne, alta, con dei bellissimi capelli scuri e gli occhi profondi come quelli di un cielo stellato. “Mi sentivo brutta, grassa, rispetto alle altre ragazzine, ma adoravo mangiare” dice. Sentiva che doveva cambiare, inizialmente aveva provato con delle diete, a nessuna aveva portato ai desideri sperati in tempi brevi. Capisce allora che vomitare poteva essere una soluzione. “Mangiavo il menù previsto dalla dieta, bevevo molto durante il pasto, aspettavo circa trenta minuti e poi correvo in bagno“. Racconta che ci volle veramente poco tempo prima che i jeans le andassero larghi e che le persone vicine notassero che stesse dimagrando. Tutti erano compiaciuti del cambiamenti, ma nessuno aveva capito il dolore che provava.
Dopo due mesi, il vomito non doveva nemmeno più essere indotto, il suo corpo rigettava quasi autonomamente il pasto. “Ricordo i crampi della fame. Quel dolore addominale che non riuscirei nemmeno a spiegare. Ricordo il dolore alla gola, i brividi di freddo che mi correvano lungo la schiena ad ogni spasmo. Ricordo il freddo del pavimento a contatto con le ginocchia, e il sapore acre nella bocca”.
Fortunatamente questo circolo vizioso si interrotto poco dopo; la madre accortasi della situazione era accorsa in bagno durante il “rituale”. Lacrime e grida seguirono il confronto con la madre, “lei era preoccupata per quello che facevo, mi diceva che sbagliavo, ma non capiva che per me non era solo liberarmi del cibo mangiato, ma era un momento di pausa dal mondo che mi circondava, dal quale non mi sentivo accettata. Non ha mai capito, che quel water bianco era diventato per me un rifugio, una certezza, un conforto” racconta.
Dalla bulimia all’anoressia
Dal momento della scoperta Elisa è stata tenuta sotto controllo da parte della famiglia. Racconta che non le era permesso andare in bagno dopo i pasti se non tenendo la porta aperta. La madre cercava di farla aprire, dialogare e la portò da una nutrizionista così che Elisa capisse che la bulimia non è il modo per perdere peso, ma solo una roulette russa cui prezzo da pagare è la salute.
Le cose sono andate bene per diversi anni. Il problema si è ripresentato all’università, quando per la prima volta è andata a vivere sola, lontano dagli occhi vigili dei suoi genitori. “Purtroppo non ho mai perso il vizio di vomitare quando mi sentivo incolpa per aver mangiato troppo, ma questo capitava raramente, ero comunque abbastanza stabile. Ma la nuova routine, lo stress degli esami, la ricerca di un fisico perfetto l’hanno fatta ricadere in un circolo vizioso che non si limitava al vomito ma alla negazione del cibo.
“É stato subdolo. Ho iniziato con gli allenamenti in palestra sempre più frequenti, poi è subentrato il calcolo delle calorie, ed infine ho deciso di affamare me stessa” racconta. La bilancia era diventata la sua ossessione, il metro per misurasi il suo compagno di vita. Era sola nel suo oblio. Gli amici non riuscivano ad aiutarla, non capivano il suo malessere interiore. “Sono arrivata ad un punto in cui mangiavo il ghiaccio per sedare i morsi della fame. Ero addirittura diventata dipendente dai lassativi. Il mio non mangiare non era solo più un fattore estetico, era psicologico. Nella mia mente io mi meritavo di soffrire. La mia dipendenza era così forte che nemmeno la perdita dei capelli o le parole preoccupate dei mie genitori scalfivano la mia corazza. Ora mai ero uno scheletro, ma io continuavo a non piacermi, volevo sempre di più”.
La salvezza dai disturbi alimentari
Questo ciclo infernale del disturbo alimentare si è interrotto solo dopo due anni, quando Elisa è stata ricoverata d’urgenza. “Ho passato delle settimane da incubo ricoverata in clinica. Ricordo il sondino, la rabbia, la delusione, la voglia di farla finita. Ho odiato tutto di quel posto, dalle pareti alle lenzuola. Ma quel posto, quelle persone mi hanno salvato la vita!” dichiara.
Dopo quel ricovero Elisa è torna a casa, ha sospeso gli studi, ha cominciato un percorso psicologico che ancora segue. Dopo quel ricovero Elisa ha ricominciato a vivere. Ha dovuto toccare il fondo, desiderare di morire per peter ricominciare a vivere. Oggi Elisa è tornata a studiare. Oggi Elisa ha voglia di vivere.
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Purtroppo esistono ancora troppe persone come Elisa, ragazzi e ragazze che per le ragioni più diverse finiscono in questo oblio. Gli ideali di una bellezza utopica ancora troppo pervadono i nostri schermi. Il body positive è un piccolo passo per accettare che i canoni di bellezza non si racchiudono in una taglia 38, ma ancora troppa ignoranza esiste in questo campo. Forse bisognerebbe educare i nostri ragazzi nelle scuole, forse se ne dovrebbe parlare di più. Forse bisognerebbe attuare delle strategie che facciano in modo che non esistano altre persone che affrontano quello che ha dovuto subire Elisa.