
La scrittura di Emmanuel Carrère è tagliente. A tratti giornalistica, a tratti immersiva, ti fa sentire parte della storia. Come se in quei luoghi e con quelle persone ci fossi anche tu, spettatore silenzioso di eventi che sembrano più reali della realtà stessa.

Perché leggere Emmanuel Carrère?
Come per ogni autore e per ogni libro in realtà non c’è una ragione specifica o, qualcosa che lo renda migliore o peggiore di altri. Si tratta sempre di scelte personali dettate dai propri gusti o da quello che stiamo cercando di vivere in un determinato momento della nostra vita.
In questo articolo vi proponiamo tre libri fra i più belli che l’autore ci ha donato.
1. La Settimana bianca
Nicolas è un bambino timido e introverso. Di lui Emmanuel Carrère ci racconterà i pensieri più disturbanti, per condividere appieno un disagio che non ci appartiene, ma è come se lo fosse.
Una baita, una classe di ragazzi, e una storia fatta di mistero. L’autore non spiega nulla, ma si limita a spargere semi che il lettore dovrà far germogliare da solo.
Una famiglia misteriosa, con una madre che rimane nell’ombra del racconto e un padre assente ma al tempo stesso apprensivo.
Come si apre “La Settimana Bianca“?
Nicolas, succube delle paure della famiglia, verrà accompagnato dal padre alla baita.
Il giorno dopo l’inizio della settimana bianca, peggiora la condizione di un bambino intimorito perché dovrà passare dieci giorni fuori casa insieme ad altri bambini con cui, visto il suo carattere complesso, non riesce a integrarsi.
Nel frattempo, un bambino scompare. Sarà ritrovato ucciso nelle zone circostanti alla loro baita. Cosa sia successo, chi sia l’artefice e le motivazioni di tal atrocità non ci è dato saperle.
Emmanuel Carrère ci lascia appesi a un filo senza fornirci risposta alcuna a queste domande. Forse è proprio questo a tenere il lettore incollato al libro, alla ricerca di risposte non date ma comunque intuibili.
Tensione e disagio sono le emozioni dominanti di questa storia raccapricciante, lasciando nel lettore un sentimento di contrasto tra la rabbia per l’omissione volontaria dei dettagli più cruenti – che la macabra curiosità umana vorrebbe conoscere – e il sollievo di essere risparmiati dalla descrizione di un evento turbante.
In questo romanzo l’autore gioca con il “non detto” e con il potere dell’immaginazione del lettore, lasciando che sia quest’ultimo a colmare i vuoti e a ricostruire quell’orrore.
Una scelta narrativa che si rivela il punto di forza del racconto: il non sapere genera angoscia, il non vedere accresce la paura, ritrovandoci immersi in un’atmosfera sospesa, dove il senso di incertezza diventa quasi opprimente e ogni indizio assume un peso insostenibile.
Vivere mille vite: 5 libri per immergersi nell’esperienza altrui
2. Vite che non sono la mia
“Vite che non sono la mia” è un viaggio nella vita degli altri, osservando da fuori la tragedia della vita di due famiglie, di due storie lontane nello spazio e nel tempo, ma intrecciate dal dolore dei protagonisti che le stanno vivendo.
Emmanuel Carrère osserva da vicino, partecipa al tormento, ma non è toccato da esso, e la sua scrittura come sempre fredda, concreta e distaccata ne è la prova.
Una distanza solo apparente perché attraverso le sue strazianti descrizioni sulla morte e la malattia, riesce a squarciare il cuore e farti vivere, adesso da vicino, una tragedia che non ci appartiene, ma è come se lo fosse.
Una madre e un padre che perdono la loro bambina nello tsunami del 2005 in Sri Lanka e la capacità di far sentire, anche a chi di figli non ne ha, lo struggimento che questo comporta.
E poi, tre bambine che non vedranno mai più la madre, cresciute per essere pronte ad affrontare il momento della sua morte e viverlo istante per istante, mentre il padre vedrà spegnere l’amore della sua vita tra le sue braccia per accompagnarla fino al suo ultimo respiro.
La morte: qualcosa che tutti conosciamo ma di cui nessuno sa niente.
Eppure, Carrère sembra averla vista, averla vissuta e saperla far conoscere anche a noi, lasciando un vuoto dentro non appena girata l’ultima pagina. Mi ha fatto scendere una lacrima sul viso. Ho chiuso il libro stringendolo al petto e ho riconosciuto con sollievo di essere viva.
Quella vita anche se non era la mia l’ho vissuta.
3. L’Avversario
Un viaggio nella vita di Jean-Claude Romand, bugiardo patologico che, per oltre vent’anni, ha nascosto all’intera famiglia la sua vera identità, fingendosi medico e ricercatore dell’OMS.
Quando il suo fortuito piano iniziò piano piano a sgretolarsi, l’unica via d’uscita che riuscì minuziosamente a elaborare fu quella di porre fine alla vita dell’intera famiglia: la moglie, uccisa brutalmente a colpi di mattarello, i due figli uccisi a sangue freddo con un’arma da fuoco e, con lo stesso modus operandi, anche i due anziani genitori.
Chi è “L’Avversario” in questa scioccante vicenda ricostruita da Emmanuel Carrère?
“L’Avversario” è sì l’artefice della strage familiare avvenuta nel 1993 a Prèvessin-Moëns, un piccolo paese della Francia, ma è anche il disturbo che, senza che Romand se ne rendesse conto, lo ha consumato a poco a poco.
Un meccanismo psicologico che lo ha reso, da un lato, consapevole della menzogna in cui viveva, dall’altro, completamente alienato dalla realtà, tanto da arrivare a credere alla veridicità delle sue stesse bugie.
Hai già messo mi piace a TheGiornale?
Quali sono i sentimenti predominanti in questa narrazione di Emmanuel Carrère?
Rabbia, per le vite innocenti spezzate dalla viltà di un uomo schiacciato dai propri fallimenti, la cui codardia ha avuto la meglio persino sull’amore per la sua famiglia, spingendolo a inscenare un suicidio volutamente fallito.
Pietà, per un uomo che ha sacrificato l’amore incondizionato di genitori, moglie e figli, accecato dalla vergogna del falso ruolo che aveva inscenato per buona parte della sua esistenza.
Un uomo condannato alla solitudine e al disprezzo degli amici e familiari rimasti in vita che per anni hanno assistito, inconsapevolmente, al suo spettacolo: hanno così interpretato un ruolo, seguito un copione, senza sapere di essere parte di una finzione.