I Millennials sono quella generazione che, dopo la laurea, è scappata in massa verso estero, verso un futuro migliore.
Non ci credo ancora, caspita, sono nella categoria degli adulti, quelli veri. Sono sbarcata nell’era degli “enta”, da qualche anno ormai, una millennial inconsapevole. Quando, ormai otto anni fa, ho fatto le valige per Londra, alla ricerca di un nuovo futuro da scienziata, ero ancora una ragazzina. Dai 24 ai 32 è stato un lampo. Anni vissuti in una sorta di “stand-by” perchè lontano da casa, si sà, si cresce in modo diverso.
Il millennial migratore
Il fenomeno che ha portato la nostra generazione a lasciare il nido in un senso più estremo risiede in complesse dinamiche di mercato ed economia che prescindono dall’analisi psicologica delle ripercussioni sociali. Nel leggere una relazione istat del mio primo anno post laurea, il lontano 2017, trovo frasi come “la distanza con la media europea riguardo al tasso di occupazione e di mancata partecipazione non si è ridotta. Continua a peggiorare il divario rispetto alla quota di occupati in part-time involontario, particolarmente accentuato per la componente femminile”. Tristi premesse di un crollo amcor più drammatico coinciso con il cataclisma del secolo, la pandemia da Sars-Covid 19, che ha finito con l’uccidere l’economia mondiale ma in gran misura anche italiana.
Il ritorno dei tren’enni
Siamo ora proiettati in un presente che sa ancora di futuro. La pandemia, ai suoi picchi più alti, sembra quasi un ricordo passato. Ora noi trent’enni nostalgici rivediamo i nostri piani di vita e torniamo a considerare “casa” nell’equazione. Vi parlo di me, della mia storia di nostalgia, del mio sconcerto nel realizzare quanti anni siano stati macinati a fare “esperienza fuori”, quasi come fosse stato un centro estivo finito con il durare troppo. Un centro esitivo trasformato in sequestro, per lunghi e brevi periodi di un’emergenza sanitaria degna di interi capitoli dei libri di storia. Spero di rappresentare la mia generazione, farla rispecchiare in me e magari di far capire qualcosa in più di noi, non solo ai più grandi, ma anche ai più giovani, che solo ora iniziano i loro primi passi nel mondo del lavoro.
Stesse strade, emozioni diverse: il millennial confuso
Tornare, dopo molti anni lontano dalla città natale, porta con sè l’inevitabile esperienza di ripercorrere strade calpestate mille volte con una prospettiva tutta nuova. L’orizzonte di un parco o di una via diventano così una “free ride” nel passato. Cose apparentemente insignificanti come una panchina o un palo rievocano sensazioni così vivide da darci un momentaneo capogiro. Ci sentiamo intrappolati nel passato con le cosapevolezze del presente e le paure del futuro. Ed ecco che il povero millennial si sente confuso, prova dei rimpianti, dei rimorsi, e non sa più bene spiegare il perchè abbia mai deciso di partire. Si sperimenta la momentanea convinzione di sapere esattamente come avremmo potuto evitare quegli errori che ci han dato la spinta finale a spiegare le ali. “Se potessi rifare tutto da capo, ora saprei come, andrebbe tutto diversamente, tutto meglio”.
La wake-up call: il trent’enne consapevole
Non a caso Zerocalcare è stato così impietoso nella sua definizione dei tren’enni d’oggi. Siamo davvero “una categoria superata, a cui ci si attacca per nostalgia, come il posto fisso”. Sembriamo incapaci d’ immagazzinare le esperienze in senso organico. Subiamo un po’ la vita senza propriamente viverla. Com’è che dice Taylor, la nostra icona millennial? “si diventa più vecchi ma non più saggi”. Così i grandiosi progetti di rientro, le saccenti affermazioni “ora riparto da dove ho lasciato, ora so come fare” si tramutano ben presto in nuove delusioni dal sapore già assaggiato. In un lampo tornano alla mente tutte quelle ragioni lontane che ci hanno spinto a cercare qualcosa altrove. Qualcosa che non abbiamo però trovato perchè il nostro problema non è poi la mancanza di opportunità e nemmeno la pigrizia. Il nostro problema è più profondo. Abbiamo trascinato il trauma generazionale dei notri predecessori ad un “impasse”. C’è quel misto di umiltà del dopoguerra e sfacciataggine del boom economico tutto mischiato e shekerato in un presente sbiato nei valori. “Hello, Hi, we are the problem, it’s us”.