Correva l’anno 2018, e per circa tre mesi della mia vita ho vissuto in Iran, più precisamente nella capitale Tehran. Come posso definire questa esperienza? Se dovessi descriverla in poche parole direi sicuramente che si è trattato di un’avventura tanto controversa quanto fantastica.
Con la scusa di in corso di lingua ho avuto accesso a un visto per studio che mi ha dato modo di conoscere delle persone fantastiche apprezzare la fortuna immensa di essere nata e cresciuta nella parte del mondo in cui la democrazia non è solo un concetto metafisico.
Come donna “occidentale”, nonostante i tratti somatici tipici sardi mi aiutassero a mimetizzarmi perfettamente tra la popolazione, non è stato semplice adattarmi a tutte le regole pubbliche, specialmente all’inizio, .
L’obbligo del velo a Tehran
Per 3 mesi ho anche io portato il velo ed indossato il mantou (caposcala lungo che ha la finalità di nascondere le curve tipiche del corpo femminile). L’ho fatto per obbligo e rispetto. Nonostante fosse scomodo, non mi è pesato più di tanto farlo. Per me era tutto un’avventura, un gioco di ruolo distante da casa in un Paese di cui sapevo tanto cose, ma di cui parlavo pochissimo la lingua.
Tutte le ragazze e donne che ho incontrate invece non vivevano il velo con la mia stessa leggerezza. Ho conosciuto tante donne diverse, grandi, giovani, di origine curda, universitarie, mendicanti, attiviste, fortemente credenti e non. Tutte loro, così diverse e singolari, avevano un solo un pensiero comune: il velo deve essere una decisione libera e cosciente della DONNA. L’obbligo veniva spesso letto come il mascheramento politico della sottomissione da parte del regime, e lo strumento ad hoc per negare alle donne di affermare la propria identità all’interno della società.
Molte di queste donne avevano deciso di intraprendere una lotta silenziosa contro questo costume attraverso l’utilizzo di un make-up vistoso e sgargiante. Il trucco era diventato per loro il modo per affermare pubblicamente la loro identità, la loro esistenza.
Essere donna in Iran non è un affare semplice, e i fatti di cronaca purtroppo lo dimostrano. Nonostante sia un paese di persone bellissime troppe cose rimangono taciute o ingiuste. Ma una cosa spero vivamente cambi: mi auguro che un giorno tutti abbiamo il diritto di parlare, contare e affermare pubblicamente la propria identità.
Quali altri divieti ci sono a Tehran?
Ma oltre al velo c’è di più. Durante questi tre mesi ho avuto modo di conoscere tante persone del posto squisite e sempre pronte a venirti in soccorso nel momento del bisogno. Non ho mai avuto paura di camminare sola per le vie caotiche della capitale. Purtroppo non posso dire lo stesso per l’attraversamento della strada: non sarò mai veramente tranquilla a fare il valzer tra le Peugeot e motorini che incuranti della tua presenza solcano le vie della capitale come se ne fossero i padroni assoluti.
A parte una prima confusione iniziale sulle porte di accesso dei mezzi pubblici (uomini e donne viaggiano su compartimentò separati) prendere la metro o il bus è diventati un gioco da ragazzi, anche se il mezzo migliore per spostarsi, a mio parere, è il taxi condiviso. Una cosa che inizialmente mi sembrava assurda, ma che in realtà oltre ad essere estremamente comoda a livello logistico ed economico (una corsa di circa un’ora costa pochi centesimi di euro) è anche un ottimo mezzo di socializzazione.
Il mio viaggio in Iran
Durante questi tre mesi sono stata ospitata nelle case, ho bevuto litri e litri di tè e mangiato una quantità indefinibile di pistacchi e zafferano. Adoravo perdermi per le vie della città, visitare continuamente posti nuovi, sorseggiare un tè caldo nei caffe mentre gustavo una sigaretta Bahman, provare le specialità culinarie e ballare le danze tipiche.
Si è spesso portati a pensare che le persone che vivono in posti così lontani dai nostri siano anche culturalmente molto distanti da noi, ma non è così. Si esistono le differenze, ma tra ragazzi la brama di crescere, affermarsi, vivere e viaggiare era la stessa, sapete qual è la vera differenza? Per noi è davvero molto più semplice. Noi possiamo decidere di creare una band metal e cantare per i pub o alle feste delle scuole o compleanni, li cantare pubblicamente canzoni in altre lingue è illegale, le donne non possono invece esibirsi. Una coppia che si tiene per mano per strada o che si scambia effusioni per noi è del tutto normale, per il regime iraniano è invece un insulto alla morale. Per non parlare dell’omosessualità, pura e semplice blasfemia.
Hai già messo mi piace a TheGiornale?
A livello pubblico è tutto così rigido, cupo, illiberale, ma dietro le mura domestiche è un’altra faccenda. Ho partecipato a feste dove l’obiettivo era pigiare gli acini d’uva per fare il vino sulle note di Ed Sheeran, Madonna, Eminem e Albano e Romina. Dentro casa non si porta il velo o il mantou ed anche le scarpe è buona educazione lasciarle all’ingresso. Ho parlato di politica, letteratura e religione mentre mi strafogavo di Sholeeh zard (budino di riso allo zafferano), e ho anche imparato a giocare a Canasta con tornei lunghi interi pomeriggi.
Il mio viaggio in Iran mi ha insegnato molto, e consigli a tutti di partire per un meta lontana e viverla non come una vacanza, ma come un viaggio, immergendosi nella quotidianità delle persone del posto. Proprio perché l’ho fatto e perché mi ha dato tanto, oggi posso urlare senza paura Zan, Zendegi, Azadi e schierarmi affianco a tutti coloro che lottano per la propria libertà.