5 Dicembre 2024 14:30
Perché non piango ai funerali?

Sono una di quelle poche persone che ai funerali rimane impassibile, a volte addirittura sbuffa aspettando la fine della cerimonia. Questo mi ha fatta sempre sentire inadeguata, quasi una psicopatica insensibile, e negli anni ho smesso di partecipare, fino a che di recente, la morte di una persona molto cara mi ha obbligata ad affrontare questo mio blocco. Durante tutto il rito mi sono interrogata sul perché non piango ai funerali, in apparenza una reazione spontanea e naturale, che accomuna tutti gli esseri umani.

La realtà è che non c’è un modo giusto e uno sbagliato per confrontarsi con la morte: questo articolo è sia per chi non versa una lacrima, sia per chi inizia a piangere anche solo vedendo una foto della persona defunta. Per aiutare tutti ad affrontare in maniera più pacifica la morte.

non piango ai funerali
Photo by Arina Krasnikova via Pexels.com

Dovremmo chiederci qual è il nostro rapporto con la morte

Ho sempre avuto un rapporto particolare con la morte: in generale non la temo, ed è solo ascoltando una puntata di un podcast che forse, sono riuscita a darmi una spiegazione. Pare che chi ha sfiorato la morte in diverse occasioni tende a temerla di meno, perché la mente pensa: “L’ho scampata una volta, la scamperò anche questa“. Per evitare che questo articolo diventi ancora più macabro, non mi soffermerò sui dettagli, ma credo che questo sia uno dei fattori per cui non piango ai funerali, e forse potrebbe essere lo stesso per altre persone.

Non la temo, e quasi mi pare che non possa sfiorarmi: né a me direttamente, né alle persone che amo. Di conseguenza, quando invece quel momento che ci accomuna tutti arriva, è come se il mio cervello non comprendesse cosa sta succedendo, e semplicemente lo isola, impedendomi di provare qualsiasi sentimento.

Mi capita di piangere, ma non piango ai funerali

Le persone piangono per i più svariati motivi: dalla gioia alla rabbia, passando per la frustrazione, il dolore – sia esso fisico o psicologico – fino a riuscire persino a fingerlo, il pianto (le famose lacrime di coccodrillo). Sembrerebbe quasi una seconda natura dell’essere umano, al punto che piangiamo addirittura per situazioni irreali come le scene dei film, o che non ci riguardano nemmeno lontanamente, ad esempio i video su Instagram di gattini salvati da condizioni tragiche. Perciò, alcune persone potrebbero chiedersi perché piangono per motivi apparentemente meno rilevanti, ma quando si tratta della morte di una persona cara, o di un funerale, i dotti lacrimali sembrano prosciugarsi.

La verità è che la morte – soprattutto se di una persona cara – qualunque cosa ne diciamo, è un evento totalmente inaspettato ed estraneo alla nostra esperienza quotidiana: di conseguenza, la nostra persona potrebbe non sapere come reagire (al di là del modo comune e socialmente accettato, che è quello di piangere).

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Photo by Alex Green via Pexels.com

“Piangere è da femminucce

Quando ci si domanda perché non si riesce a piangere in seguito alla perdita di una persona cara, bisognerebbe anche considerare il ruolo del pianto nella società odierna: quando a piangere è un uomo, viene messa in dubbio la sua virilità; quando a farlo è una donna, allora è l’ennesima dimostrazione di debolezza ed emotività eccessiva. Non c’è da stupirsi dunque – quando fin da piccoli ci viene richiesto di non piangere – se nemmeno in un momento di estremo dolore si riesce a lasciarsi andare.

In realtà, il pianto può avere un effetto calmante, come dimostrato da diversi studi, ed è quindi un ottimo coping mechanism per affrontare le situazioni dolorose. Pare infatti che piangere aiuti a rilasciare ormoni che riducono la percezione dello stress e del dolore, come l’oxitocina; allo stesso modo però, esistono altre attività, oltre al pianto, che hanno effetti simili, ad esempio i massaggi, ascoltare musica, trascorrere del tempo con un animale domestico, fare attività fisica, o praticare meditazione.



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Possono esserci degli svantaggi se non piango ai funerali?

Dovrebbe essere ormai chiaro che piangere non è il solo modo per affrontare un lutto, né il più “sano” per gestire il dolore. Di conseguenza, non esistono svantaggi, o danni, per chi sembra rimanere impassibile di fronte alla morte. L’unico “rischio” per queste persone è che il loro dolore venga sottovalutato dagli altri, perché privo di manifestazioni, e di conseguenza che ricevano meno affetto e supporto. O ancora, il fatto che la loro reazione al lutto sia diversa da quella “socialmente accettata” potrebbe sottoporle al giudizio altrui. Peggio ancora dello stigma altrui poi, è lo stigma autoimposto, causato dalla sensazione che la propria reazione al lutto sia “anormale” e “sbagliata”.

Detto ciò, per comunicare il proprio dolore all’esterno – e di conseguenza, ricevere il necessario supporto e affetto – in assenza del pianto, una buona idea potrebbe essere di esprimerlo a parole (anche sotto forma di una lettera scritta); o ancora, se il timore dello “stigma” dei propri cari nei confronti del proprio modo di gestire il dolore dovesse impedirci di riuscire a comunicare anche a parole, ci si può rivolgere a una figura esterna, come un terapeuta, oppure un gruppo di ascolto.

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