20 Aprile 2024
Scienza

Diabete mellito di tipo 1: che cos’è?

Quando dico di avere il diabete il più delle volte mi viene risposto che non è possibile perché sono giovane e perché sono magra. Queste affermazioni stanno alla base della non cultura di una malattia che, solo in Italia, colpisce circa 3,5 milioni di persone e che si sta diffondendo, purtroppo, sempre di più. Ma che cos’è il diabete mellito di tipo 1?

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Diabete mellito di tipo 1: qualche informazione in più

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Ma quindi che cos’è il questa forma di diabete? Definizione da manuale: “Per diabete mellito si intende un gruppo eterogeno di endocrinopatie caratterizzate da una cronica alterata tolleranza glucidica, conseguente a un difetto assoluto o relativo di insulina. Indipendentemente dai meccanismi patogenetici sottostanti, l’aspetto comune a tutte le forme di diabete mellito è la presenza di iperglicemia a digiuno e/o post prandiale.” 

In parole semplici: il diabete mellito si divide in diabete mellito di tipo 1 e di tipo 2. Ciò che accomuna le due patologie è la presenza di iperglicemia (cioè concentrazione elevata di zucchero nel sangue) a digiuno e dopo i pasti. Le differenze sostanziali, invece, risiedono nel fatto che:

  • il diabete mellito di tipo 1 è una malattia autoimmune è, cioè, causata dalla produzione di anticorpi che distruggono tessuti e organi propri poiché questi ultimi non vengono riconosciuti come appartenenti al corpo;
  • il diabete mellito di tipo 1, detto diabete giovanile, insorge in età pediatrica o, appunto, giovanile;
  • le Isole di Langerhans – collocate all’interno del pancreas e contenenti le cellule deputate alla produzione degli ormoni necessari a regolare il livello di glucosio nel sangue – sono completamente sopite, non funzionanti. 

Inoltre, il diabete mellito di tipo 2 si distingue dal tipo 1 per: cause di insorgenza (generalmente fattori ambientali e qualità della vita) e terapia (generalmente per bocca). 

Vivere con il diabete: terapie e strumenti a supporto

Se, quindi, le cellule delle Isole di Langerhans non sono più attive, l’unico modo che una persona affetta da diabete mellito di tipo 1 ha per sopravvivere è assumere l’insulina dell’esterno. Ma in che modo? 

Ho il diabete da abbastanza tempo per poter ricordare, non senza commuovermi, l’evoluzione che c’è stata nel corso degli anni nel trattamento del diabete mellito di tipo 1. Ho cominciato a curarmi (attenzione a questa parola, la utilizzo per semplicità, ma ci tengo a sottolineare che l’insulina per le persone affette da diabete non è la cura ma l’unico modo per sopravvivere), facendo l’insulina con le siringhe e bucandomi le dita almeno sette volte al giorno per conoscere il valore della glicemia, cioè il valore del glucosio nel sangue.

Inoltre, ai tempi, parlo di 15-20 anni fa, le persone affette da diabete erano costrette a seguire una dieta piuttosto ferrea: non si era ancora “scoperto” il calcolo dei carboidrati e quindi si tendeva a mangiare sempre le stesse cose perché si sapeva come il corpo avrebbe reagito. Successivamente, le siringhe sono state sostituite dalle penne.

siringhe per il diabete

penne per il diabete

Calcolo dei carboidrati

A questi sviluppi si è affiancato il calcolo dei carboidrati, che ha dato la possibilità alle persone con diabete di mangiare davvero tutto. In parole semplici: in una persona sana la quantità di insulina prodotta dalle cellule Beta del pancreas è direttamente proporzionale al cibo ingerito. La stessa cosa dovrebbe valere per le persone con diabete, con l’unica differenza che l’insulina deve essere introdotta dall’esterno.

Ciò significa che a una determinata quantità di carboidrati ingeriti deve corrispondere una determinata quantità di insulina. Sembra facile ma giuro che non lo è: le variabili che alterano i risultati che derivano da questi calcoli sono veramente moltissime. Per citarne alcune: caldo, freddo, ciclo mestruale, stress, adrenalina, attività fisica, febbre, etc. 

Diabete: iperglicemia e ipoglicemia

Cosa succede se la quantità di insulina introdotta è troppa o troppo poca o se interviene una delle variabili viste sopra? Se l’insulina è troppo poca, la glicemia si alza fino a diventare iperglicemia. Ciò significa che nel sangue c’è una concentrazione di zuccheri troppo elevata che va necessariamente fatta abbassare (con altra insulina).

“Punto a favore” dell’iperglicemia: se è dovuta a calcoli sbagliati (e non ad assenza di insulina per troppo tempo), nell’immediato non succede niente (se togliamo la molta sete, la sensazione di spossatezza, la mancanza di concentrazione, la voglia costante di fare pipì).

Se la quantità di insulina introdotta è troppa, invece, succede l’esatto opposto e cioè la glicemia si abbassa fino a diventare ipoglicemia. Nelle persone sane i livelli di zucchero nel sangue sono mantenuti costanti dall’insulina, che agisce quando viene introdotto del cibo, e dal glucagone, ormone antagonista dell’insulina, prodotto dalle cellule Alfa del pancreas (sempre risiedenti nelle Isole di Langerhans) che agisce nel momento in cui la glicemia rischia di abbassarsi.

Avendo le Isole di Langerhans sopite, le persone con diabete non dispongono nemmeno di questo ormone e quindi, anche in questo caso, devono agire dall’esterno. Come? Mangiando. Non pane e nutella ovviamente (sarebbe troppo facile così). L’ipoglicemia si corregge assumendo dello zucchero associato a una piccola quantità di carboidrati complessi.

A differenza dell’iperglicemia, se l’ipoglicemia non viene corretta in tempo (se, cioè, non si interviene prima che la quantità di zucchero del sangue non si riduca allo zero) si va in coma diabetico (situazione irreversibile se non presa in tempo).

Diabete e tecnologia

Simultaneamente ai progressi visti sopra, si affinava lo sviluppo dei microinfusori (i cosiddetti pancreas artificiali) e dei sensori per il rilevamento glicemico. Il microinfusore o pompa di insulina è un dispositivo che consente l’infusione continua24 ore su 24, di insulina nel tessuto sottocutaneo attraverso una cannula. Il microinfusore viene generalmente associato a un sensore, un altro dispositivo tecnologico che, grazie a un elettrodo, restituisce (sul display del microinfusore) il dato in tempo reale della glicemia. Grazie agli ultimi studi e sviluppi (bacerei senza riserva alcuna tutti i ricercatori, gli ingegneri, i medici che studiano e lavorano a questi progressi), questi due dispositivi dialogano tra di loro agendo, in autonomia, sull’aumento o riduzione della dose di insulina in modo da mantenere la glicemia stabile.  

Detta così sembra che il problema “gestione del diabete” sia risolto ma la verità è che il succo del discorso non cambia: certo, la combo microinfusore + sensore ha migliorato enormemente la qualità della mia vita, basti pensare che non devo più fare 7/10 punture al giorno, ma rimane il fatto che il microinfusore non può fare il lavoro che fa il mio cervello nei calcoli e nelle previsioni.

Cosa significa avere micro e sensore sempre con sé?

Potessi tornare indietro nel tempo passerei dalle penne al microinfusore molto prima di quanto io non abbia fatto. Il risvolto psicologico di avere una macchinetta con filo (la cannula) e di un altro aggeggino sempre attaccato addosso non è di poco conto, però. Provate a dire un adolescente che fa di tutto pur di nascondere la malattia che deve andare in giro con due cose appiccicate addosso, di cui una vibrante e suonante (il microinfusore vibra e suona quando la glicemia è o troppo alta o troppo bassa), e vediamo cosa vi risponde. Non nascondo, comunque, che ancora adesso, ogni tanto, me li staccherei volentieri.



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Diabete e complicanze

Cercare di condensare in così poche righe una malattia importante come il diabete è impossibile. Il fatto che io conduca una vita assolutamente normale, che faccia sport, che cammini in giro per il mondo, che mangi tutto ciò che voglio, che sfoggi senza vergogna alcuna tutti i miei cerotti può far sembrare tutto molto semplice. Ma non è così. Il mio cervello non ha mai riposo: per quanto ci si possa impegnare a calcolare, prevenire, fare attenzione, bisogna rassegnarsi al fatto che nessuna giornata è mai uguale a un’altra e che ce ne sono alcune in cui a vincere non sono io ma lui.

Per fortuna l’esperienza e tutti gli strumenti a supporto fanno sì che le giornate brutte siano nettamente minori rispetto a quelle buone ma ciò non significa che, quando le giornate non vanno come io vorrei, la mia mente non corra subito al futuro e alle complicanze che potrebbero insorgere.

Concludo questo articolo con una considerazione che ho fatto tanti anni fa e che continua ad essere valida: “bisogna valutare gli eventi che occorrono nel corso della vita anche in base alle persone che conosciamo grazie ad essi”. Il diabete mi ha permesso di conoscere persone stupende: tutto il personale sanitario conosciuto negli anni, in particolare i miei dottori, passati e presenti, a cui devo letteralmente la vita e i miei compagni di sventura che nel tempo sono diventati amici perché seppur a volte ci sentiamo soli e non compresi, soli non siamo mai.

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Un pensiero su “Diabete mellito di tipo 1: che cos’è?

  • Gabriele

    Grazie Ilaria per questo condensato di informazioni, riassunte in modo semplice e comprensibili per chiunque. Grazie per l’emotività che ci hai regalato e la sensibilità che hai usato per farlo. Ci hai donato un pezzo di te con garbo e delicatezza e parlato di un pezzo di noi che non avremmo potuto spiegare meglio.

    Rispondi

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