25 Aprile 2024
Musica

Dieci grandi album che nel 2021 compiono 50 anni

Più si va avanti con anni, si sa, e più si diventa nostalgici. Ma se pensiamo a quello che il 1971 ha significato per la musica, non si può fare a meno di avvertire una fitta di malinconia. Nel corso di quello che fu definito l’anno d’oro del rock il movimento dei cantautori cominciò a prendere piede, soprattutto grazie ai lavori di James Taylor, Joni Mitchell, Cat Stevens, Leonard Cohen, Carly Simon e ai singoli di Crosby, Stills & Nash.

Il 1971 fu anche l’anno in cui la pubblicità si accorse della musica e decise di veicolare i propri messaggi attraverso di essa. Sono talmente tanti i capolavori che nel 2021 si avviano a celebrare il mezzo secolo (Stairway to Heaven, One of These Days, Brown Sugar, Aqualung, Baba O’Riley, solo per citarne alcuni) che ricordare tutto il materiale pubblicato sarebbe impossibile.

Noi però vogliamo provarci lo stesso.

Dieci grandi album che nel 2021 compiono 50 anni

Eccoci qui, dunque, a celebrare 10 grandi album che nel 2021 compiono dei 50 anni

Jethro Tull, “Aqualung”, 19 marzo 1971

Da molti considerato erroneamente un concept album a sfondo autobiografico, Aqualung è il quarto album dei Jethro Tull. È anche il disco musicalmente più vario ed equilibrato della band, con un mix di hard-rock, folk britannico e strumenti di tradizione classica che contribuiscono a inquadrarlo nel prog, pur privandolo delle sovrastrutture ambiziose tipiche del genere. Il clochard in copertina diventa il personaggio principale e il veicolo attraverso cui esprimere i temi principali dell’album: la perdita delle certezze, la critica alla società, alla politica e alla religione.

Perché si merita di essere incluso nella top 10?

Perché, con i suoi 7 milioni di copie vendute, si candida a miglior disco realizzato dai Jethro Tull nel corso della loro lunga carriera. E la copertina con il barbone/Ian Anderson è più che iconica.

The Rolling Stones, “Sticky Fingers”, 23 aprile 1971

La seconda nascita dei Rolling Stones coincide con questo album perfetto, perché progettato e realizzato magistralmente non solo dal punto di vista musicale, ma anche da quello del disco come oggetto materiale. Non è solo Sticky Fingers con l’iconica copertina, ma anche la leggendaria linguaccia stoniana a compiere 50 anni. Se vogliamo parlare di musica, l’album segna ufficialmente il passaggio da una sonorità cruda ed efferata a una produzione meno visionaria ma non priva di ricercatezza. Brown sugar e l’inimitabile riff di Keith Richards testimoniano la capacità dell’album di suonare ancora oggi vero e attuale.

Perché si merita di essere incluso nella top 10?

Perché ha conquistato le chart di tutto il mondo occidentale; e soprattutto per la copertina coi jeans sdruciti (con contenuto ben in vista) e la cerniera 3D, naturalmente firmata Andy Warhol.

The Doors, “L.A. Woman”, 19 aprile 1971

Cinquant’anni fa i Doors pubblicavano il loro ultimo – e per alcuni anche il più riuscito – LP, a pochi mesi dalla morte di Jim Morrison, il “Re Lucertola”, trovato morto nella vasca da bagno del suo appartamento a Parigi. L’album contiene in maggioranza brani blues, tra cui spiccano gli otto minuti della ritmata titletrack e la sperimentale Riders on the storm. Come sempre, i testi giocano un ruolo fondamentale: se L.A. Woman rappresenta l’addio alla donna amata che personifica la città, L’America narra di un viaggio in America Latina, mentre Hyacinth House parla della solitudine.

Perché si merita di essere incluso nella top 10?

Perché, smessi i panni del sex symbol per indossare quelli del poeta bohémien introverso, il Re Lucertola ci piace ancora di più; perché, che ci crediate o no, Jim Morrison registrò quasi tutte le parti vocali nel bagno dello studio (per ottenere un suono più pieno, diceva lui).

The Who, “Who’s Next”, 14 agosto 1971

All’inizio degli anni ‘70 gli Who venivano dal grande successo dell’opera rock Tommy, che li aveva definitivamente imposti all’attenzione nazionale. Who’s Next arriva nel 1971 e nasce dalle difficoltà di un progetto abortito: l’opera d’arte “totale” Lighthouse. Ma andrà a rappresentare molto di più: testimonia infatti l’equilibrio perfetto raggiunto dalla band, la prova della maturità definitiva dopo gli anni di rock visto come energia primitiva e rabbia rivolta al sistema. Ribellione che rimane però visibile nella copertina dell’album, che mostra i quattro musicisti “lasciare un segno” su un monolite di cemento, prendendosi gioco allo stesso tempo del monolite più famoso di tutti: quello di 2001: Odissea nello spazio.

Perché si merita di essere incluso nella top 10?

Perché è un pilastro della musica rock del XX secolo; e perché la tripletta Baba O’Riley, Behind Blue Eyes e Won’t Get Fooled Again è imbattibile.

John Lennon, “Imagine”, 11 ottobre 1971

Il contenuto di Imagine, pubblicato l’11 ottobre 1971, è simile a quello del suo predecessore, il meno fortunato John Lennon/Plastic Ono Band; ma per ammissione dello stesso Lennon, il nuovo lavoro era “ricoperto di cioccolato per il piacere del pubblico”. La frase si riferisce probabilmente all’uso abbondante di sezioni di archi, aggiunti a fine lavorazione. Dal valore artistico ancora oggi controverso, l’album contiene ballate romantiche (Jealous Guy, Oh My Love), alcuni brani più rock (Gimme Some Truth, originariamente scritta per i Beatles), tracce che riprendono motivi ossessivo-cacofonici (I Don’t Want to Be a Soldier).

Perché si merita di essere incluso nella top 10?

Perché è l’album che ha dato la vera svolta alla carriera di Lennon; perché il successo di pubblico è stato enorme; perché Imagine è il manifesto non di una, ma di più generazioni.

Pink Floyd, “Meddle”, 31 ottobre 1971

Schiacciato tra due pezzi da novanta come Atom Heart Mother e The Dark Side of the Moon, il 31 ottobre 1971 esce Meddle, dopo una gestazione piuttosto lunga. La struttura è molto simile a quella dell’album precedente, anche se rovesciata: a un lato A costituito da pezzi brevi fa da contraltare un lato B occupato interamente dalla suite Echoes. Nonostante manchi di un tema unico centrale, il disco ha una sua dignità artistica forte, risultante dallo sforzo collettivo della band. State pensando che non lo conoscete affatto? Impossibile, provate ad ascoltare One of These Days e a dire che non riconoscete la sigla di un famoso programma sportivo…

Perché si merita di essere incluso nella top 10?

Perché la suite Echoes è forse il loro più alto esito progressive; perché i brani dell’album faranno la parte del leone nel celeberrimo live registrato a Pompei; perché se ascoltate Fearless fino in fondo potrete sentire il coro dei tifosi del Liverpool (vi dice niente You’ll Never Walk Alone?)


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Led Zeppelin, “Led Zeppelin IV”, 8 novembre 1971

Led Zeppelin IV è un disco che si distacca vistosamente dalla produzione precedente del gruppo: è prima di tutto musica pura, rock sperimentale per eccellenza degli anni ‘70, e un lavoro che mette d’accordo critica e pubblico. La band ci offre un quarto album con una copertina priva di autore e titolo, allo scopo di rimettere al centro la musica. In quarta di copertina, dove campeggiano i titoli dei brani, l’unica firma riconoscibile è costituita da quattro simboli misteriosi che rappresentano ciascun componente del gruppo, scelti da un libro di rune. Non è un caso che ancora oggi si parli di questo disco anche per i tanti elementi accessori alla musica: la misteriosa villa in cui si è svolta parte delle registrazioni, i presunti messaggi nascosti che sarebbero legati a occultismo e magia nera.

Perché si merita di essere incluso nella top 10?

Perché è uno degli album di maggior successo nella storia, con circa 35,7 milioni di copie vendute. E perché Stairway to Heaven non ha bisogno di presentazioni. Niente male per un disco senza titolo ufficiale, vero?

Fabrizio De Andrè, “Non al denaro non all’amore né al cielo”, 11 novembre 1971

La coraggiosa traduttrice Fernanda Pivano ha raccontato di aver scoperto Edgar Lee Masters e la sua Antologia di Spoon River grazie a Cesare Pavese. Fu grazie a lei che l’opera vide la luce in Italia nonostante la censura operata dal regime fascista. Fu sempre sempre lei a segnalarla a Fabrizio De Andrè, che farà suo il capolavoro del poeta nordamericano trasfigurandolo in un concept album. I testi sono rivisitati dallo stesso Faber con la collaborazione di Giuseppe Bentivoglio, già al suo fianco in Tutti morimmo a stento, mentre la parte musicale è affidata al giovane e futuro premio Oscar Nicola Piovani.

Perché si merita di essere incluso nella top 10 dei dieci album che nel 2021 compiono 50 anni?

Perché nasce grazie a un esempio di resistenza alla censura; perché ci ricorda che la ribellione è un obbligo morale; perché l’idea di trasformare una raccolta di epitaffi in opera di cantautorato è semplicemente geniale.

Genesis, “Nursery Cryme”, 12 novembre 1971

Novembre 1971. I Genesis realizzano Nursery Cryme, terzo lavoro in studio della band e il primo in formazione completa, con Phil Collins alla batteria e Steve Hackett alle chitarre. Siamo in piena ascesa del fenomeno progressive, ma l’album ci proietta in un’atmosfera altrettanto favolistica, fantastica e di stile vittoriano. Il titolo è un gioco di parole tra “rhyme” (rima) e “crime” (crimine) ed è proprio a un macabro delitto che si allude nella celebre intro, omaggio alle filastrocche inglesi per l’infanzia.

Perché si merita di essere incluso nella top 10?

Perché è il punto di svolta nella carriera della band, l’album che li fece uscire dall’ombra e dalla classificazione di “prog band di serie B” in cui erano relegati soprattutto in patria.


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David Bowie, “Hunky Dory”, 17 dicembre 1971

Siamo alle ultime battute del 1971, e David Bowie, dopo la ballata spaziale Space Oddity e a un passo dal successo glam nei panni di Ziggy Stardust, offre al pubblico la prima delle sue pietre miliari. Nato da un periodo di grande ispirazione, Hunky Dory esprime per la prima volta il gusto bowiano della fusione tra musica e messa in scena del prodotto tramite elementi teatrali. Da un punto di vista musicale, tracce come Changes e Life on Mars? restano ad oggi dei must nella produzione dell’artista inglese.

Perché si merita di essere incluso nella top 10 dei dieci album che nel 2021 compiono 50 anni?

Perché è l’album che servì a Bowie per mettersi alle spalle il folk e reinventarsi come artista glam; perché è il disco in cui il futuro Duca Bianco fa finalmente sfoggio dell’abilità di riscrivere il vocabolario rock, dando vita a un universo artistico unico; perché è il punto di partenza di un percorso a dir poco esaltante; e per altri mille motivi. Signore e signori, ecco a voi David Bowie.

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