Nelle ultime settimane sul fronte social ne è comparso uno nuovo e un po’ snob. Di chi to parlando? Clubhouse certo, ma che cos’è il nuovo social? Vediamolo da vicino e cerchiamo di scoprirne i meandri.
Forse, dico forse, la pandemia qualcosa di buono l’ha portato, sto parlando di idee. Che siano rivoluzionarie non lo sappiamo ancora, ma sicuramente di successo. Infatti, i due creatori della nuova piattaforma hanno avuto quest’idea causa noia da quarantena, magari tutti avessimo fatto così.
Ormai siamo abituati alle immagini pronte e perfette, pensate giorni prima, editate e camuffate, ma questa volta arriva qualcosa che viene sfruttato poco: la voce. Sì, Clubhouse è un social basato totalmente sulla voce, quindi o hai qualcosa da dire oppure starai zitto, da buon ascoltatore.
D’altronde abbiamo visto e stiamo vedendo come, il re dei social, Mark stia cercando di combattere tutti coloro che creano contenuti sterili, però questa volta ti hanno battuto sul tempo caro Zuckemberg. Punto proprio sul vivo il magnate ha messo in roll out delle room (nome collegato al nuovo social) su Instagram live innovando già le funzioni presenti.
Ma come mai tutto questo successo per Clubhouse?
Il successo della piattaforma è tutto attribuibile ad una conosciuta teoria del marketing, la scarsità.
Per accedere a Clubhouse, difatti, devi ricevere un invito da qualcuno già iscritto, ma la cosa che rende ancora più esclusivo l’accesso al vocal social è l’avere un IPhone. Per ora solo chi ha IOS può usufruirne, i possessori di Android si sentiranno un po’ come quando non ti permettevano l’entrata in discoteca perché non indossavi una camicia.
Il principio di scarsità sta probabilmente sconfinando nell’elitarismo? Chi può dirlo, ma in molti sicuramente possono pensarlo, d’altra parte stiamo parlando di un privè virtuale.
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Come funziona?
“Un nuovo prodotto social basato sulla voce che permette alle persone, ovunque si trovino, di chiacchierare, raccontare storie, sviluppare idee, approfondire amicizie e incontrare nuove persone interessanti in tutto il mondo“, questa è stata una sintesi accurata che spiega i fondamentali. Se i podcast hanno da poco iniziato ad entrare nella quotidianità, qui facciamo un passo avanti. Possiamo chiamarlo proprio podcast interattivo, d’altronde è come stare alla radio, ma puoi alzare la mano e chiedere di parlare.
Gli early adopters, per parlare come si mangia: i nerd, che hanno scaricato per primi l’app e hanno preso coraggio a gran voce sono stati tutti marketers. Spinti dalla curiosità hanno iniziato a discutere sulle potenzialità della nuova piattaforma, comunicazione e marketing per le prime due settimane sono stati gli argomenti principe, ancora adesso forse le stanze più frequentate, ma ormai puoi trovare chiunque che parla della qualunque.
Cambio di paradigma
Una questione di diversa modalità di consumo infatti, siamo abituati a usare Facebook, Instagram e Twitter a rapidissimi intervalli, mentre aspettiamo che bolla l’acqua. Estraiamo lo smartphone, diamo una scrollata, mettiamo un like, rispondiamo a un commento e mettiamo via. E poi ripetiamo questa modalità d’uso per decine o centinaia di volte al giorno.
Clubhouse è radicalmente diverso: nel momento in cui si individua una stanza che stuzzica l’interesse è richiesto di ascoltare, capire di che cosa si parla, magari intervenire. I ritmi sono inevitabilmente molto più lenti, si richiede tempo e se ti perdi una stanza non hai modo di recuperare la conversazione avvenuta perché non è registrata.
E tu ce l’hai un‘app per monitorare le spese? Leggi qui.
Si apre la questione moderatori, abbiamo visto nascere questa figura con Twich, cioè qualcuno che tenga d’occhio cosa si dice, quanto lo si dice e chi alza la mano. Insomma, qualcuno che sappia quando è il momento di dare la parola a qualcun altro e bloccare chi parla troppo così da non monopolizzare la scena.
Ora, non ti resta che prendere in mano il tuo iPhone, inforcare le cuffie e ascoltare. Buona partecipazione.