Nocturne
Quella notte avevo deciso che l’avrei fatto, senza lasciare nulla di scritto. Ironico, non trovi? Tante parole e poi, quando arriva il momento di dire addio si sta in silenzio, non si trovano le cose giuste da dire. Ho ascoltato Nocturne, c’ho scritto una poesia. La mia.
Togliersi la vita da alcuni viene interpretato come un gesto di coraggio, definito come il giusto finale se non si riesce a sopportare lo strazio di una quotidianità troppo soffocante.
La notte mi mettevo spesso a gambe all’aria, fuori dalla finestra. Lì appoggiato a fumare un’ultima sigaretta prima di andare a dormire. Ascoltando Chopin, la poesia che diventa musica, che celebra la vita.
La notte per alcuni non cessa mai d’esistere, ci sono persone che vivono costantemente al buio. Un giorno, difficile da capire quale, si spegne la luce. Passiamo così il resto dei giorni come zanzare, a succhiare via dagli altri linfa vitale, ci facciamo attrarre da un barlume di luce a costo di farci uccidere da essa.
Neppure quella è vita, poi.
Io quella notte avevo deciso d’essere una stella, cadente. I desideri mi hanno sempre affascinato, la gente si appende ad essi sperando che possano aggiustare le cose.
Una volta ho rotto uno dei miei giocattoli preferiti, ero piccolo. Mio padre mi ha detto che si poteva aggiustare, ma che non sarebbe più tornato come prima. Lo avrebbe aggiustato ma non avrei potuto più giocarci. Solo guardarlo.
Quella notte qualcosa si è rotto, l’ho sentito. Ed io ho scelto che andava bene così, che avrei passato il resto di quei giorni a guardare. In silenzio. A desiderare che non fosse mai successo.
Sai perché mi piace Nocturne?
Perché viene definita come un’ornamentazione della vita. Un fantastico abbellimento.
E le cose belle sono fatte per essere guardate, solo i pazzi si metterebbero a giocarci appresso. Rischiando di sgualcire tale bellezza.
Quella notte sono caduto, figlio di una scelta che mi permette ad oggi d’essere come la notte stessa.
Tremendamente bella, anche se poi in quel buio non ci si vede nulla.
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